Quello che oggi chiamiamo oggetto di design non è solo un semplice “oggetto d’uso”, uno strumento evolutivo per l’uomo. È molto di più di questo. In questa intervista Massimo Rosati mi racconta la sua storia, com’è nato DESIGN STREET e la sua visione sulla funzionalità e la bellezza del design. Insieme proveremo a ricostruire l’identità estetica dell’oggetto di design.
Massimo Rosati è Architetto, Giornalista Professionista e Blogger. Da oltre 20 anni lavora nel mondo del design, dei media e della comunicazione. Oggi alterna la professione di Giornalista e di Blogger a quella di Design Manager.
Intervista a cura di Luca Greco
Massimo, come nasce la tua passione per il Design?
«Credo che sia nata nei primi anni 90 quando, appena laureato in architettura a Venezia, mi sono trasferito per lavoro a Milano, la capitale mondiale del design. Qui ho capito che il design non è solo il prodotto finito, ma soprattutto il processo che porta alla creazione di quel prodotto. Il prodotto non è che la punta dell’iceberg. Questo approccio al design come progetto mi ha aperto un mondo ed è diventato il mio modo di lavorare sia come giornalista di design, sia come design manager».
Dopo aver collaborato con i principali editori (Condé Nast, RCS, Mondadori, Il Sole 24 Ore) e diretto diversi magazine di design tra i quali, il mensile «LA MIA CASA» (per 14 anni), decidi nel 2011 di fondare DESIGN STREET, attualmente uno dei blog indipendenti più seguiti. Ti andrebbe di svelarci la sua anima?
«Quando l’ho fondato in Italia non era ancora scoppiato il fenomeno dei blog. Come giornalista professionista con tanti anni di redazione alle spalle, ho subito pensato di portare questa mia esperienza nel creare prodotti editoriali sul web. Così ho progettato un blog che “non esisteva”. Un blog che selezionasse il meglio del design internazionale e lo raccontasse quotidianamente. Non un contenitore di cataloghi, non un contenitore di pubblicità, ma un prodotto “culturale” (come dovrebbe essere un prodotto editoriale) pensato al 100% per piacere ai lettori. Perché i lettori del web sono molto informati ed esigenti. Devi sempre proporre loro qualcosa di nuovo e interessante, per conquistare la loro attenzione. Altrimenti ti abbandonano con la stessa facilità con cui ti hanno scelto. Questa formula evidentemente ha funzionato…».
Il rapporto che abbiamo quotidianamente con gli oggetti d’uso è di natura prevalentemente sensoriale: la loro dimensione, la forma, il materiale, il colore, la disposizione dei comandi, il suono o la silenziosità rappresentano tutti elementi linguistici con i quali entriamo in relazione con essi. Tuttavia, la mera sensazione non basta per comprendere la natura dell’oggetto. Entro questa relazione con l’oggetto di design quanto contano le emozioni?
«L’emozione che suscita un oggetto è fondamentale… e non solo nel design. Pensiamo a una lampada. Chi compra una lampada solo per illuminare una stanza? Quasi nessuno. La si compra per la sua forma, il suo colore, per i giochi di luce che proietta sulle pareti o per l’atmosfera che crea. Questo vale anche per una poltrona, per una cucina o per un vaso di fiori. Ogni oggetto che acquistiamo parla di noi, dei nostri gusti, del nostro stile, delle nostre emozioni. Proprio come un’auto, un vestito o un cellulare».
Con la diffusione degli oggetti di design all’interno delle nostre case assistiamo alla grande vittoria della funzionalità che assume le sembianze dell’immagine artistica. Come facciamo oggi a distinguere un’opera d’arte da un oggetto di design?
«Questo è un tema molto interessante. E aggiungerei che oggi è anche difficile distinguere un oggetto di design da un oggetto di artigianato ben fatto. Pensiamo a un vaso in vetro soffiato di Venini. È design? È arte? È artigianato? Ma se torniamo all’idea di design come progetto e non come oggetto, allora tutto diventa più semplice. Un oggetto ben progettato è un oggetto di design, che sia fatto da un artista, da un designer o da un artigiano».

Che rapporto sussiste tra la bellezza di un oggetto di design e la sua “funzione” (o la sua usabilità)?
«Il design è performance. Il buon design è quello che risponde al meglio alla funzione per la quale è stato pensato. È indifferente se la funzione sia vincere una gara o, banalmente, vendere. Per questo è buon design uno sci da competizione come è buon design lo spremiagrumi “Juicy Salif” di Philippe Starck, bellissimo ma praticamente inutile. Eppure è esposto al Moma di New York e nei più grandi musei di design al mondo».

Che cos’è per te la bellezza?
«Per me la bellezza nel design è la capacità di raggiungere l’essenziale, arrivando a mostrare l’anima di un oggetto».
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