Trappole, rapimenti e racconti. Cose da Hemingway

 

Giulia Grimaldi – Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire. Lo ha detto Calvino, e chi può contraddirlo. Lo ha detto anche Emiliano Poddi al Circolo dei Lettori, per il pubblico in sala. I suoi studenti, invece, lo hanno ben presente ora, ma chissà se se lo sarebbero immaginati, freschi freschi di iscrizione alla scuola Holden, di venire rapiti.

Rapiti niente meno che da Ernest Hemingway attraverso una trappola messa in atto nel 1926. Una trappola che fa subito pensare a quelle reti ricoperte di foglie secche in cui cadono le prede e i protagonisti dei film. Del resto è facile immaginarsi un giovane Hemingway preparare entrambe le trappole, sia quella ricoperta di foglie secche, sia quella definita dalle parole dritte del racconto.

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Sì, perché Un posto pulito, illuminato bene è uno di quei racconti che vuole essere preso sotto gamba, ma che una volta letto fa svanire il pavimento da sotto i piedi, lasciandoci a testa in giù, a dondolare da un ramo intrappolati in un rete. Questa rete è fatta di parole che ritornano; di personaggi che si spostano da un lato all’altro del bancone di un bar, impersonando se stessi, noi stessi, le nostre paure; di mancanze e di niente.

Il bello è che, quando si capisce tutto questo, non ci si agita nel tentativo di liberarsi,  ma si accetta la trappola, ed è a quel punto che si scopre di non essere i soli a essere stati rapiti da Hemingway. Si scopre, anzi, una comunità intera. La comunità del Niente. Ne fanno parte i camerieri del racconto, ne fa parte il vecchio scrittore barbuto, ne fa parte Emiliano Poddi, i giovani allievi della scuola Holden che hanno scritto un prequel, un sequel o uno spin-off del racconto, ne fanno parte le ex alunne che continuano a essere perseguitate dal racconto e hanno deciso di provare a liberarsene cacciandolo in un cortometraggio.

Ma tutto questo rimestare di modi e temi di Hemingway che senso ha al di fuori di una scuola di scrittura? Cosa c’è in questo racconto scritto negli anni 30 che possa parlare anche a chi non è affascinato dalla sua struttura blindata, dalla leggera poesia fatta di parole semplici? Per Teresa Lucente e Maria Clara Restivo è stato un bisogno che si è concretizzato attraverso un video, un cortometraggio per il quale è attiva una campagna di crowdfunding (https://www.eppela.com/it/projects/15446-un-posto-pulito-e-illuminato-bene) e che verrà girato a Roma. Sapete perché?

«Perché un lunedì mattina Emiliano Poddi lo ha letto ad alta voce e, da allora, non siamo più riuscite a togliercelo dalla testa. Perché l’intreccio imprevisto tra le storie dei personaggi ci ha confermato quanto la vita sia transitoria, ma mai casuale.

Perché ci sembra che parli di noi, ma anche della società in cui viviamo.

Perché qui Hemingway sembra rivelare più che mai il suo mondo interiore: quell’esistenzialismo che mostra il suo culmine nella preghiera del Niente, un Padre Nostro dove “Niente” sostituisce “Padre”. Una preghiera blasfema.

Perché qui Hemingway sperimenta uno stile impeccabile, – teso, essenziale, secco, – che dà vita a quell’atmosfera sospesa e ovattata che diventerà il suo tratto tipico.»

Abbiamo posto le stesse domande anche agli autori che hanno deciso di partecipare alla call di Emiliano Poddi e cimentarsi con Un posto pulito, illuminato bene, sfidando Hemingway. Non vi sorprenderà sapere che i motivi sono simili, ma i risultati piuttosto diversi, a riprova che la trappola innescata da Hemingway continua a rivelarsi vincente.

Nicola Dardano, La prima notte d’insonnia

«Il cameriere ammogliato siede di fronte alla finestra, sul bordo del letto, e la finestra dà proprio sul cortile. Al cameriere piace guardare il cortile, di giorno, perché è pieno di forme e colori, e i colori il vento spesso li muove assieme alle forme. Ora è notte però, e il cameriere non vede i colori. Forse il vento li muove, là sotto: forse li muove assieme alle forme, ma lui non può esserne certo. Non vede il cortile, non vede il vento che muove i colori. Vede solo il movimento del buio. E il buio li tace, i colori; del cortile, tace il vento e le forme. La finestra potrebbe anche affacciarsi su qualche altro posto, e il cameriere lo sa. Potrebbe affacciarsi su qualsiasi altro posto.»

Nicola, cosa ti ha rapito di Hemingway?

«In Hemingway sorprende sempre l’uso dei sottotesti e dei taciuti narrativi. È incredibile come quest’autore riesca a nascondere di una storia il senso, negandolo all’evidenza per poi lasciarlo affiorare in un’immagine, in un dettaglio, in una frase.»

Cosa ti ha rapito di questo racconto in particolare?

«Il ritratto impietoso di un’umanità che marcia verso l’inevitabile dissipazione delle sue sicurezze. I personaggi del racconto abitano la fine o le sono destinati. Nessuno sconto.»

 

Sabrina Quaranta, Un posto dove aspettare

«Nessun morto è mai venuto a parlarmi.

Sei solo un ragazzino. E poi come pensi che possano parlarti, se resti tutta la notte qui in questa bettola?

Se questo posto non va bene perché ci vieni?

I posti aperti fino a tardi sono tutti come questo qui. Non si trovano posti puliti, illuminati bene, a quest’ora di notte.

Dovresti almeno smettere di bere alcolici.

Mi tengono sveglia.

Puoi bere il caffè allora.

Magari con un goccio di brandy.

Magari, sì.»

Cosa ti ha rapito di Hemingway?

«La capacità di raccontare tanto senza dire quasi niente.»

Cosa ti ha rapito di questo racconto in particolare?

«Questo racconto mi ha colpito perché credo che possa essere letto in modo radicalmente diverso a vent’anni e a cinquanta.»

 

Jacopo Silenzi, È bello parlare

«Che poi deve essere bello. Deve essere bello sentirsi scorrere dentro un pensiero nella sua forma più pura. Senza che venga intaccato da nient’altro. Sentirsi scorrere dentro un pensiero che non suonerà mai diverso da quel pensiero, che si avvolgerà su di sé fino a diventare perfetto forse, curandosi solo di se stesso. Deve essere il massimo esempio di coerenza. O se non il massimo, qualcosa che ci si avvicina parecchio.»

Cosa ti ha rapito di Hemingway?

«Di Hemingway apprezzo in particolar modo l’essere coinciso, le strutture, lo “show don’t tell” portato al massimo delle potenzialità.»

Cosa ti ha rapito di questo racconto in particolare?

«Il racconto “Un posto pulito illuminato bene” è un vero gioiello, ogni cosa è maledettamente al posto giusto, lo è a tal punto che non ce ne accorgiamo neppure.»

 

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