«Recycled robots»: i custodi dei ricordi. Intervista a Massimo Sirelli

Massimo Sirelli mi apre le porte del suo laboratorio, un mondo fantastico dove l’arte libera e spontanea dei graffiti incontra la magia dei ricordi. «Io sono un accumulatore di cose vecchie del passato e ho avuto un’illuminazione: non potevo disfarmi dei ricordi. Che fai, lo vendi un oggetto della nonna? No. Allora lo trasformi in un robot. Nel momento in cui lo trasformi in un robot, gli dai un prezzo? No. È così che nasce l’idea dei robot da compagnia che si possono avere solo ed esclusivamente adottandoli».

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 (Intervista a cura di Luca Greco)

Massimo, qual è stato il tuo primo approccio all’arte? Quanto è importante l’influenza della cultura POP all’interno delle tue creazioni artistiche (faccio ovviamente riferimento alle tue rappresentazioni dei mitici Supersantos oppure, alle celebri icone del Novecento come Muhammad Ali o Nelson Mandela)?

«In realtà, è stato un approccio prettamente spontaneo. Tutto ha avuto inizio con i graffiti. L’illuminazione vera fu nell’estate del ’95. Presi una bomboletta in mano e provai a scrivere su un muro. Poi da lì in poi non mi sono più fermato. È stata in qualche modo una vocazione artistica. Tutto quello che faccio è un misto tra il mio lavoro (mi occupo di comunicazione e di pubblicità che riassume linguaggi di diversa natura) e le mie passioni. Un linguaggio influenza l’altro. La cultura POP si confonde con quella del modernariato. Io non ho formazione tecnica o accademica, quindi l’unica cosa che nutre tutta la mia produzione è l’istinto e la sensibilità. Se oggi mi viene in mente il pallone dell’estate, io lo trasformo in un’opera”.

Ecco, perché proprio il Supersantos? Ti ricorda qualcosa della tua infanzia?

«Io non sono mai stato un giocatore di pallone, a dire la verità. Ho giocato pochissime partite a calcetto. Socializzavo malamente, forse non socializzavo tanto [ride]. Può essere che la creazione dei Supersantos sia nata dal desiderio di quelle partite mancate».

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Massimo Sirelli, Supersantos

Mi piacerebbe parlare del tuo interessante progetto “Adotta un robot”. Come nasce quest’idea? Come nasce un robot?

«Nasce senza un progetto preciso. Nasce per necessità. L’idea dei robot era latente da tanto tempo. I primissimi esperimenti di questo progetto nascono nel 2006, quindi davvero tanto tempo fa. Poi, vidi degli altri artisti che fanno parte della corrente “recycled-robots” (robot costruiti con materiale di recupero) e ho visto che si cimentavano con materiali più complessi rispetto a quelli che utilizzavo io: scatole e pezzi di vecchie radio. Io sono un accumulatore di cose vecchie del passato e ho avuto un’illuminazione: non potevo disfarmi dei ricordi. Che fai, lo vendi un oggetto della nonna? No. Allora lo trasformi in un robot. Nel momento in cui lo trasformi in un robot, gli dai un prezzo? No. È così che nasce l’idea dei robot da compagnia che si possono avere solo ed esclusivamente adottandoli. Quindi il progetto è nato in maniera spontanea. Quando poi ho capito che questa cosa funzionava proprio per questo motivo, ho deciso che doveva rimanere così. Tuttora, nonostante il grande successo di Adotta un robot, i robot continuano ad essere disponibili solo attraverso l’adozione».

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Massimo Sirelli, Ph. F. Lorito

È possibile visitare il laboratorio dove nascono i tuoi robot?

«Sì, da qualche mese do la possibilità di venire a vedere in tempo reale, come state facendo voi oggi, come nascono i robot. Su appuntamento è possibile visitare il laboratorio. Come avete  visto, i robot non nascono principalmente per essere venduti, ma per essere adottati. Alcuni non vanno nemmeno in adozione. Loro, ad esempio, restano e sono parte della mia collezione personale».

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Ph. F. Lorito

Attraverso la tua opera di creazione riesci a recuperare oggetti d’uso comune caduti ormai in declino per riportarli in vita. In questo modo, il significato originario (funzionale) di questi oggetti viene articolato in un altro più estetico. Possiamo dire che questo atto di creazione artistica sia nello stesso tempo anche un prendersi cura, un gesto d’amore, nei confronti di un mondo fatto di oggetti che continua a vivere nell’immaginario comune?

«Si, principalmente è un prendersi cura dei ricordi e delle storie degli oggetti. “Adotta un robot” si nutre  della bellezza e dell’importanza dell’oggetto che perde la sua funzionalità d’uso, ma in realtà la mia creazione artistica è un mondo fatto di storie, di oggetti, di persone legate alla materia. Ad esempio, questa scatola è arrivata oggi da un amico, che quando l’ha vista ha pensato a me. Non è un recupero di un oggetto da buttare, ma il desiderio di recuperare un momento, un rapporto, una storia. Ogni robot ha una biografia. Quella biografia, che sembra inventata, in realtà, non è altro che la storia dell’oggetto».

Puoi anticiparci qualcosa sulle tue future creazioni?

«In realtà non lo so. Non c’è un progetto. Se ci fosse un progetto non sarebbe così spontaneo. Per cui, nel prossimo anno vedrete delle grandi novità oppure continueranno a nascere semplicemente dei robot. Il bello delle emozioni è che non le puoi controllare. Nelle mie opere c’è continuità cromatica o di forme che tornano. La mia arte è sempre in evoluzione e in ricerca. Ho l’ossessione della creazione».

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Ph. Francesca Lorito

Che cos’è per te la bellezza?

«Che cos’è la bellezza… La bellezza è un concetto soggettivo. Bellezza non è perfezione. I robot sono brutti, sporchi, ammaccati, fatti di cose non necessariamente belle in quanto tali, ma nel loro insieme raggiungono equilibrio ed armonia. Quello per me è il concetto di bello».

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Massimo Sirelli, Ph. F. Lorito
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Ph. Francesca Lorito

 

 

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