A seguito della recente scomparsa del produttore discografico Sir George Henry Martin, il leggendario «quinto Beatle», esaminiamo, con Slep, alcune delle innovazioni epocali del sodalizio artistico più celebre della storia.
Slep, è un chitarrista, insegnante (Scuola Civica di Torino – CFM, carcere delle «Vallette» di Torino), compositore e produttore italiano. Nel suo stile convergono vari linguaggi musicali quali il blues, il rock, il country e lo swing. I suoi principali tratti distintivi sono il fraseggio blues e l’utilizzo della tecnica di chitarra slide. Ha dato forma ad un nuovo metodo di chitarra bottleneck chiamato “Sliding on Blues” ed è autore della linea editoriale Manuali di Chitarra Moderna. Ha pubblicato tre album come Slep & The Red House (Ricordi-BMG) e collaborato con Francesco De Gregori, Arti e Mestieri, John Martyn, Dr. Feelgood, Jimmie Vaughan. Ha scritto colonne sonore cinematografiche (ad es. Black Harvest di Guido Chiesa) e radiofoniche (Stereonotte – Rai).
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(Intervista a cura di Luca Greco)
Slep, chi è George Martin?
«Dopo la “gavetta” alla BBC, George Martin ottiene l’incarico di responsabile della Parlophone, sconosciuta sub-etichetta della EMI dedita alla sonorizzazione di spettacoli radiofonici, quali le pieces della compagnia comica dei “Goons” di Peter Sellers”».
Parliamo del primo incontro tra tra George Martin e i Beatles.
«Accetta di incontrare Brian Epstein e i Beatles nel 1962. In loro subito riconosce un certo senso dell’humor e talento e comincia a lavorare ai loro primi singoli, tra i quali “Please Please Me”, brano ispirato allo stile di Roy Orbison. George Martin, da allora in poi, sarà il “traduttore” in musica delle fantasie e delle intuizioni geniali di John, Paul e George, lavorando su circa 300 composizioni fino al 1970».
George Martin contribuisce alla creazione del sound dei Beatles. Ti andrebbe di raccontarci qualche curioso aneddoto a riguardo?
«Costituisce il “terminale-di-raccolta” delle intuizioni di John, Paul e George e offre soluzioni alternative, senza mai imporsi. “Yesterday”, per esempio, gli viene proposta da Paul come brano acustico ma, superato un iniziale scetticismo, crea un arrangiamento per quartetto d’archi, eseguito dei solisti della London Symphony Orchestra. “Strawberry Fields Forever”, composizione di John, è il risultato finale di un’ennesima operazione di “taglio e cucito” (“editing”) di due brani dalle differenti tonalità. L’effetto “eco” del solo di chitarra di George in “Can’t buy me love” è il prodotto finale di una “track” superflua volutamente non eliminata in fase di mix. E si potrebbe continuare all’infinito…».
George Martin guida i Beatles fin dagli esordi. La sua influenza sulla band inglese è decisiva, in particolare durante la realizzazione di album fondamentali per la storia della musica pop. In quale misura la loro collaborazione contribuisce alla sperimentazione?
«Insieme, nonostante la tecnologia “primitiva” dell’epoca, re-inventano la musica “pop”, spostandone sempre più avanti i limiti e senza mai adeguarsi alla logica commerciale del ripetere ciò che “ha-già-funzionato”. Gli esperimenti, gli “errori” e le scoperte casuali creano i presupposti per un “suono” sempre nuovo. L’organo “Lowrey”, semi-giocattolo abbandonato in un angolo del leggendario Studio 2 di Abbey Road, diventa il “clavicembalo” dell’arpeggio introduttivo di “Lucy in the Sky with Diamonds” (“Sgt. Pepper’s…”); l’effetto “flanging”, oggi largamente impiegato, nasce casualmente dal giocare di John con la mano sul bordo di plastica (“flangia”) del nastro magnetico; uno dei primi “synth”, brevetto di Robert Moog, viene utilizzato da Paul in “Maxwell’s Silver Hammer” (“Abbey Road”); George, dal 1966 in poi, utilizza lo speaker “Leslie” dell’organo Hammond per arricchire il sound della sua chitarra; il “gain”, funzione ora comune a tutti gli amplificatori, viene inventato da Ken Townsend, “scienziato-pazzo” della EMI, padre anche dell’“ADT”, antenato dell’odierna registrazione “multitraccia”. Queste ed altre innumerevoli innovazioni confluiscono in “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”, considerato universalmente il “turning point” della moderna musica pop. In fondo noi tutti, da allora, abbiamo un po’ di musica dei Beatles nella nostra».
(Slep, Manuali di chitarra moderna, “Le chitarre dei Beatles”)