Promossa dal Comune di Milano-Cultura e prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE e Arthemisia Group la mostra Il Simbolismo. Arte in Europa dalla Belle Époque alla Grande Guerra si inserisce all’interno di un preciso programma che Palazzo Reale di Milano dedica all’arte tra fine Ottocento e inizio Novecento e che ha già visto a dicembre l’inaugurazione di Alfons Mucha e le atmosfere Art Nouveau (fino al 20 marzo 2016). La mostra dedicata al Simbolismo è a cura di Fernando Mazzocca e Claudia Zevi in collaborazione con Michel Draguet.
Luca Greco – Con ben 24 sale e 150 opere (tra dipinti, sculture e un’importantissima sezione grafica) la mostra Il simbolismo. Arte in Europa dalla Belle Époque alla Grande Guerra, in svolgimento a Milano presso il piano nobile di Palazzo Reale fino al 5 giugno 2016, presenta per la prima volta in Italia alcuni tra i più importanti capolavori del Simbolismo europeo come Il silenzio della foresta (1885) di Arnold Böcklin, l’Eletto (1890) di Ferdinand Hodler, Le Carezze (1896) di Fernand Khnopff e l’Orfeo morto (1893) di Jean Delville.
La mostra ha reso, inoltre, possibile un’importante operazione di restauro, pulitura e conservazione di oltre dieci opere provenienti da Ca’ Pesaro di Venezia, dalla Galleria degli Uffizi di Firenze e dalla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Roma con il grandioso polittico di Giulio Aristide Sartorio, Le Vergini Savie e Le Vergini Stolte (1890-91), in cui viene ritratta anche la moglie di Gabriele d’Annunzio.
La mostra
La mostra si apre con lo sguardo rivolto verso il cielo di una donna, dalle sfumature quasi gotiche, con in mano un piccolo libro e circondata da fiori rossi mossi dal vento. Il contrasto tra lo sfondo scuro e il volto illuminato richiama uno dei temi più celebri del Simbolismo, cioè il conflitto tra Tenebre e Luce. Si tratta dell’opera di Joseph Middeleer dal titolo Una demoniaca (1893).

L’accurata selezione delle opere, svolta da Fernando Mazzocca e Claudia Zevi in collaborazione con Michel Draguet, intende gettare nuova luce su quell’importantissimo periodo di passaggio artistico tra Ottocento e Novecento all’interno del quale il Simbolismo si frappone e si impone come ritorno ai misteri più intimi e segreti della natura, agli aspetti più emotivi e onirici della realtà, al mondo eroico della mitologia. Il Simbolismo esprime tutta la sua energia creativa proprio attraverso questo distacco dalla rappresentazione oggettiva della realtà: durante il percorso espositivo, diviso in ben 18 sezioni tematiche, il visitatore, guidato dalle poesie di Baudelaire (tratte dalla raccolta I fiori del Male) e pervaso dall’atmosfera onirica e visionaria, approda a una dimensione dove la realtà acquista una dimensione sempre più introspettiva e soggettiva volta a negare la semplice percezione intuitiva.
Siamo chiamati a vivere il mito, come contrapposizione alla modernità, attraverso Il silenzio della Foresta (1885) di Gustave Moreau e le diverse rappresentazioni della morte di Orfeo di Gustave Courtois e Jean Delville. Tale sezione prosegue attraverso le rappresentazioni delle creature fantastiche di Fernand Khnopff: ne Le Carezze egli fa riferimento al mito della Sfinge e di Edipo dove un giovane androgino, con lo sguardo perso nel vuoto, riceve le carezze di una sfinge dal corpo di ghepardo, simbolo di lussuria e di tentazione.

Rispetto agli altri paesi europei, nell’area tedesca il Simbolismo diviene più tenebroso e demoniaco. Il Lucifero (1891) di Franz Von Stück, ispirato a quello di Michelangelo nel Giudizio Universale della Sistina, ci introduce ad un altro tema simbolista, già preannunciato nell’opera di Middeleer: il confronto tra Luce e Tenebra, Bene e Male. Ne Il giorno sveglia la notte (1905), di Gaetano Previati, tale tema si manifesta in tutta la sua bellezza: una figura femminile su ali di pipistrello si risveglia al sorgere del sole, avvolta in un velo nero cosparso di stelle.

Il ruolo della donna
Dal perenne conflitto tra Eros e Thanatos trae origine il prossimo tema trattato dalla mostra: il ruolo ambivalente della donna, intesa sia come pura essenza angelicata che come femme fatale demoniaca.Troviamo una donna raccontata attraverso i grandi episodi di carattere epico (d’ispirazione letteraria e storica) come Cleopatra (1903) di Previati, o come Il secondo cerchio dei Lussuriosi (1889) di Victor Prouvé, ispirato al quinto canto infernale dantesco. L’amore fisico torna prepotentemente poi in altre importanti opere come Il Tritone e la Nereide (1885) di Klinger e la Sirena (1893) di Giulio Aristide Sartorio. Quest’ultimo capolavoro ritrae il corpo della bella sirena, dalle forme sinuose e dai lunghi capelli rossi, sorretto da un giovane pescatore bruno disteso su una barca. Sul fondo marino, in basso a sinistra, si intravedono i teschi che sembrano preannunciare il triste epilogo che attende la giovane vittima ormai definitivamente abbandonata ai propri istinti primordiali. All’interno di questa tematica della mostra segnaliamo la presenza del celebre dipinto di Franz von Stück, Il Peccato (1908). Quest’opera raffigura una donna ammaliatrice avvolta nelle spire di un boa che volge il suo sguardo intenso verso lo spettatore. In questo periodo il ruolo della donna diventa anche oggetto di satira e ironia: nel 1878 Félicien Rops, realizza Pornokratés, una serie di disegni simboleggianti il trionfo del sesso sull’uomo. L’intento dell’artista è provocatorio e antiborghese perché pone una donna nuda (che indossa solo un paio di calze) in un ruolo dominante: porta a passeggio, tenendolo al guinzaglio, un maiale, simbolo dell’uomo governato dalla lussuria. All’interno di questa metamorfosi figurativa tutta femminile, tuttavia, il ruolo della donna continua a mantenere la sua connotazione positiva come dimostra, ad esempio, František Kupka raffigurando una donna con le onde del mare e la Natura (L’Onda, 1902).

La sezione grafica
Tra le diverse sezioni che ripercorrono i temi del Simbolismo europeo degna di nota è quella dedicata all’attività grafica. Fa parte di questa sezione la serie di incisioni del Guanto (1881) di Max Klinger alle quali si ispira anche la canzone Un guanto, tratta dall’album Prendere e lasciare (1996) del celebre cantautore italiano Francesco De Gregori. Sempre all’interno di questa sezione troviamo le opere del discusso pittore francese Olidon Redon, tratte dalla serie Les Origines del 1893 e quelle dell’italiano Alberto Martini, per il quale la vita altro non è che «un sogno a occhi aperti». Incarnando pienamente i valori del Simbolismo Martini scrive:
«Il sonno è un sogno a occhi chiusi falsato dall’incubo della realtà. Sarebbe strano che qualcuno negasse che la realtà è un intempestivo, brutale, mortificante susseguirsi di contrattempi, malintesi, intoppi, cupidigie e miserie, di combinazioni assurde, immorali, criminali, tragiche stonate sempre noiose, perché tutti gli uomini sono vittime di tali imprevedute avventure e ho sempre trovato tanta brutta, incongruente, grottesca e crudele la realtà, e quasi sempre di una comicità così ridicola e banale una perversità così ripugnante, che la mia riconciliazione è problematica» (Alberto Martini, Vita d’artista 1939-1940).

Il confronto tra gli artisti italiani e quelli stranieri
Una delle sezioni più scenografiche della mostra è certamente quella dedicata alla Biennale di Venezia del 1907 nella quale Giulio Aristide Sartorio è l’assoluto protagonista con il suo monumentale capolavoro intitolato Il Poema della vita umana. Realizzato per la Biennale del 1907 su proposta di Antonio Fradeletto, l’opera di Sartorio è accompagnata dalla musica dell’artista vicentino Alberto Tadiello. Si tratta di uno dei maggiori capolavori della pittura simbolista italiana che, con circa 240 mq divisi in 14 pannelli, racconta il poema della vita umana facendo riferimento ai miti dell’antichità classica. La visione drammatica dell’artista sembra caratterizzare tutte e quattro le scene principali raffigurate nell’opera: la Luce, le Tenebre, l’Amore, la Morte. Grazie a questa mostra per la prima volta i protagonisti del Simbolismo europeo come von Stuck, Hodler, Klimt si confrontano con gli artisti italiani: ad esempio le figure dipinte da Galileo Chini rappresentano un importante omaggio all’arte di Klimt e alla Secessione viennese. Tale confronto permette di riscoprire anche nomi di artisti meno conosciuti, come Luigi Bonazza (seguace italiano di Klimt), Leo Putz, Giorgio Kienerk e gli scultori Leonardo Bistolfi e Amleto Cataldi. L’ultimo capitolo di questo straordinario percorso espositivo è dedicato al ciclo pittorico-decorativo ispirato alle favole di Le mille e una notte dell’artista veneziano Vittorio Zacchin. Realizzata per l’Hotel Terminus di Venezia, quest’opera è considerata come il grande capolavoro della pittura liberty veneziana.
