All’interno del panorama musicale qualcosa di «diverso» ha da sempre suscitato il nostro interesse: fuori dai rigidi canoni degli schemi ricevuti un’altra arte è possibile, il Blues. Slep ci racconta la storia, le influenze e l’eredità del Blues nella nostra intervista esclusiva. «La creatività e l’innovazione sono sempre figlie della trasgressione. Le regole esistono per essere trasgredite, altrimenti saremmo ancora ai canti gregoriani. Il Blues è come il delta del Mississippi, una teoria infinita di canali che portano acqua a tutti i generi musicali attuali».
Intervista a cura di Luca Greco
Slep, parliamo un po’ delle origini del Blues.
«Il Blues, o “i blues” (modo di dire dell’Inghilterra Vittoriana) è un’espressione musicale scaturita dalla condizione disperata della popolazione di colore delle regioni meridionali del Nord America, trasferita in catene dall’Africa Equatoriale per lavorare nelle piantagioni di tabacco e cotone dei propietari latifondisti inglesi e francesi. La frustrazione dei neri trova sfogo, durante le massacranti giornate trascorse nei campi, nei cosiddetti “hollers”, letteralmente “grida”, che accompagnavano il ritmo della loro fatica. Il capo-squadra “gridava” per “censire” i sopravvissuti dispersi tra le piante di cotone o scandire gli intervalli per l’acqua o la ripresa del lavoro. Da ciò deriva il concetto di “call and response”, cioè di “chiamata e risposta”, anche utilizzato dal pastore durante la funzione della domenica e in seguito stigmatizzato nel dialogo musicale tra voce e chitarra durante l’esecuzione dei brani blues. I primi “bluesmen” del delta del Mississippi non erano musicisti in senso proprio, ma “cantastorie” girovaghi che portavano i loro racconti di vite miserevoli nei villaggi delle campagne, in cambio di una mezza pinta di acqua vite. Durante la Seconda Guerra Mondiale la popolazione nera del sud è emigrata in massa verso le città industriali del Nord. Nei clubs di Chicago il Blues si è “elettrificato” e ha cominciato ad assumere le caratteristiche moderne, adottate come modello di partenza dai chitarristi del rock inglese degli anni ‘60. Albert King, T-Bone Walker, Muddy Waters, B. B. King e tanti altri tracciano la via maestra a giovani talenti quali Eric Clapton, Jimi Hendrix, Jeff Beck e Keith Richards».
Oggi è ancora possibile considerare il Blues come una musica «antiformale» (in-attuale)?
«Se per “formale” intendiamo una struttura musicale codificata su canoni prestabiliti, di certo non alludiamo al blues, almeno per quanto riguarda i presupposti delle sue origini. Invece di un genre, possiamo parlare di un “vocabolario musicale”, istintuale e sperimentale, che tuttora fornisce gli elementi base di tutti i linguaggi musicali moderni (jazz, rock, r’n’ b, funk, rap, ecc), in continua trasformazione e contaminazione».
Dopo le premesse storiche di cui abbiamo già discusso, dove tutto ciò ha avuto origine musicalmente?
«Pur tendendo conto del “melting pot” che caratterizza lo sviluppo della società nordamericana in generale, individuiamo nell’area del delta del Mississippi e, in particolare, tra le banchine del porto di New Orleans, quel cocktail di stili che caratterizza la musica americana. Blues dei neri, folk degli europei, rag-time e ritmi caraibici creano le basi dei futuri generi musicali».
Slep, ora parliamo delle cosiddette «blue-notes», peculiarità di questa “imperfetta” rivoluzione musicale.
«Le “blue-notes”, gradi intermedi di modo minore non compresi nella scala diatonica del sistema musicale tradizionale europeo, sono entrate di prepotenza nel linguaggio della musica moderna. Queste “dissonanze”, da tempo, sono ora riconosciute come “consonanze”. Si intende come “Blue-notes”, in particolare, il quinto grado diminuito della scala maggiore, intervallo musicale identificativo del un fraseggio “blues”».
Nel Blues il musicista è libero all’interno di strutture prefissate, non soggetto, dunque, alla limitazione della formalità stilistica. Oltre alle «blue-note», quali sono le altre novità strutturali che il Blues ha apportato?
«Le più evidenti riguardano la sequenza “circolare” della progressione base di accordi in dodici battute (“Twelve Bar Blues”) e l’improvvisazione, intesa come “composizione istantanea”. Fin dagli ultimi anni dell’Ottocento a musicisti di colore viene affidato l’ingrato compito di accompagnare l’incedere dei cortei funebri, eseguendo versioni musicali di salmi religiosi europei. Causa il background africano e l’approssimativa perizia strumentale degli esecutori, il risultato finale è caratterizzato da un margine improvvisativo che varia di volta in volta e da una ritmica accentuata che ottiene il primato su melodia e armonia. Gli accenti di riferimento “2 e 4” della misura in 4/4 prendono il posto dei classici primo e terzo della tradizione europea. Pertanto melodia e armonia sono subordinati al ritmo che, in parole semplici, potremmo definire come “dove e come” collochiamo suoni e pause del brano».
Cosa resta oggi del Blues? Parliamo della sua eredità: i sotto-generi e generi derivati.
«Più che di eredità, parlerei di attualità del linguaggio del Blues che continua a rappresentare, come ho già detto, il vocabolario-base per tutti i generi e sotto-generi di musica moderna».
Slep, cos’è per te il Blues?
«La creatività e l’innovazione sono sempre figlie della trasgressione. Le regole esistono per essere trasgredite, altrimenti saremmo ancora ai canti gregoriani. Il Blues è come il delta del Mississippi, una teoria infinita di canali che portano acqua a tutti i generi musicali attuali».
Slep consiglia: la lettura di A. LOMAX, La terra del Blues, Saggiatore; l’ascolto di R. JOHNSON e la visione del documentario “In search for Robert Johnson” di J. HAMMOND JR e della collana “Blues” di M. SCORSESE.

Per maggiori informazioni:
Slep, è un chitarrista, insegnante (Scuola Civica di Torino – CFM, carcere delle «Vallette» di Torino), compositore e produttore italiano. Nel suo stile convergono vari linguaggi musicali quali il blues, il rock, il country e lo swing. I suoi principali tratti distintivi sono il fraseggio blues e l’utilizzo della tecnica di chitarra slide. Ha dato forma ad un nuovo metodo di chitarra bottleneck chiamato “Sliding on Blues” ed è autore della linea editoriale Manuali di Chitarra Moderna. Ha pubblicato tre album come Slep & The Red House (Ricordi-BMG) e collaborato con Francesco De Gregori, Arti e Mestieri, John Martyn, Dr. Feelgood, Jimmie Vaughan. Ha scritto colonne sonore cinematografiche (ad es. Black Harvest di Guido Chiesa) e radiofoniche (Stereonotte – Rai).
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