Due sono le cose che continuano a sorprendermi: l’arte e il contatto con la storia. Tenere in mano i libri in pietra fossile di Nicus Lucà e poter assistere alla realizzazione delle sue creazioni è stata un’emozione indescrivibile che arriva fino ai confini del tempo.

«L’opera per me è dello spettatore. Il soggetto, il pubblico rimane catturato per un momento da quello che sta guardando, che sta vivendo. È lì che accade quello che continua a rendere viva un’opera. È questo che fa essere un’opera d’arte eterna». (Nicus Lucà)
Intervista a cura di LUCA GRECO
Tra gli elementi inaugurali delle grandi epoche storiche ci sono certamente le grandi opere d’arte. Recentemente hai esposto una serie di tue opere, intitolata “Campioni”. Chi sono i Campioni?
«È come nella musica: il Campione deriva un po’ dal campionare un suono o un’immagine che è dentro la sensibilità dell’inconscio collettivo. È un veicolo per me per entrare nell’intimità delle persone. Di solito questi campioni vengono isolati dal contesto originario che porta l’opera all’epoca della sua realizzazione e vengono catapultati nel presente dandogli un altro significato che parli di adesso e di quello che ci circonda. Penetrando la tela da dietro creo dei chiariscuri che ricompongono l’immagine del soggetto che sto realizzando. Nel caso del cavallo, disarcionando il condottiero sottolineo chi manca. Nel caso, invece, del quadro intitolato Klein si fa riferimento a quelle donne nude che si intingevano nel colore e poi stampavano il loro corpo nella parete con il foglio bianco. Gli spilli, qui, creano una sponda concettuale in un certo verso fachirica. Tu, immagini lo stampo e invece poi avverti la stessa sensazione del fachiro che riceve le punture degli spilli. È ciò che accade nella mente del fruitore che conta».



Nella tua biografia leggo che hai iniziato la tua carriera artistica come musicista, come cantante rock e punk negli anni ’80. Che rapporto sussiste tra quello che fai ora e la musica?
«Ciò che collega la musica all’arte o alle altre discipline espressive è l’armonia. L’armonia è dentro ogni cosa, in una canzone o in un un quadro. È un equilibrio che non è né prima e né dopo, ma rende completo, sufficiente e definitivo un lavoro, un’opera, una canzone. Le scelte iconografiche che nel tempo ho fatto del mio lavoro spesso sono state motivate dall’amore per la musica. Per esempio, il quadro alle mie spalle che ritrae i Suicide alias Alan Vega e Martin Rev, un gruppo degli anni ’70 electro-punk che un po’ ha anticipato un certo tipo di sonorità, di ritmiche, di sintesi».

Nel 2012 hai realizzato 150 volumi tagliati in pietra fossile proveniente dal Marocco e incisi con titoli di libri celebri. Hai inciso le parole di grandi scrittori per sempre su pietre millenarie create dal tempo e dalla natura. Ti va di parlarci di questi libri? Perché hai scelto proprio il libro?
«Ho scelto il libro perché è un oggetto ideale per raccontare qualcosa. Diversamente dalla tipica scultura che ti spinge a girargli intorno, il libro è una scultura che ti chiede di esser presa in mano. Rappresenta un incentivo per toccare un materiale che è pregno di antichi significati. La letteratura è nata l’altro giorno in confronto ai 300, 500 milioni di anni di questo materiale: dalle alghe ai trilobiti, alle ammoniti, alle goniatiti. Questo ad esempio è un osso di dinosauro ed è fantastico. Teniamo conto che fino a un po’ di anni fa non si ammetteva neanche che fossero esistiti i dinosauri. Realizzare queste sculture è stato un lavoro molto impegnativo e appassionante. Stare lunghi periodi nel deserto del Sahara significava per me sentire la presenza dell’uomo preistorico. Lì, ancora oggi, ci sono delle tracce; ci sono i resti del fuoco».




Nicus, tu credi molto nell’incontro tra più discipline. Nel 2000 fondi Pop club, un luogo dove si incontrano discipline e competenze diverse. Ti va di raccontarci questa tua esperienza?
«Pop club voleva essere un’idea-ombrello sotto la quale mettere discipline e collaborazioni diverse. Era il desiderio di creare un incrocio di competenze e di dar vita a una collaborazione non 50 e 50, ma a 100 più 100. La mia intenzione era quella di poter collaborare con il regista, con lo scrittore, con il musicista etc.. Oggi c’è internet e chiaramente questo diventa abbastanza banale perché è facile connettersi tra persone, però questa esperienza mi ha dato la possibilità di imparare molto dagli altri e gli altri da me. Io cercavo solo la verità, qualcosa che fosse reale, sempre con quella provocazione che mi diverte sempre molto,.
Niente era più nuovo al punto che non l’avevi mai visto, tutto in qualche modo aveva un maestro, tutto era archiviabile. Pertanto, a quel punto ci siamo dati il permesso di usare qualsiasi cosa, un attrezzo, un colore, una filosofia, il lavoro di un altro artista allo scopo di sprigionare e rendere concreta un’onesta emozione, sensazione poetica».
Che cos’è per te la bellezza?
«Questo è un domandone. La bellezza è quel pianeta, quella vibrazione attraverso la quale siamo felici di essere al mondo. Ogni volta devo imparare, devo informarmi e fare una ricerca. È proprio quello il bello. È la ricerca, il procurarsi gli ingredienti per poter poi far veicolare quel che io sento tramite un’idea o una suggestione».

Un ringraziamento particolare va alla Galleria Davide Paludetto | Arte Contemporanea, Torino per l’ospitalità durante l’intervista.