LONDRA – Attraverso questa intervista Marco Piccioni ci racconta la sua storia, la sua idea di Blues e le sfide che il musicista contemporaneo è chiamato oggi ad affrontare.
Marco Piccioni è un chitarrista e cantante di Blues-Rock italiano che vive a Londra. È insegnante di chitarra e dirige l’ Artist Development Programme alla British Academy of New Music di Londra. Come artista solista ha registrato due album “Waterflight”(DDE-Records, 2005) e “Far” (2015). Ha collaborato con vari artisti britannici, tra cui Julia Biel, Cleveland Watkiss, Lekan Babalola e Kate Luxmoore. Con il suo Trio (insieme a Blendi Dhami e Chris Nickolls) mescola il suono Blues-Rock con il Jazz.
Intervista a cura di Luca Greco
Marco,raccontaci la tua storia. Come nasce la tua passione per il Blues?
«La mia passione per il Blues non è stata diretta e immediata, ma ha avuto inizio con il mio interesse verso la musica nordamericana in generale. Mi ricordo che verso i dodici-tredici anni presi la chitarra acustica e iniziai a suonare le canzoni di Bruce Springsteen. Ancora oggi ricordo quell’immagine che avevo da bambino della Stratocaster che desideravo suonare. Fino ad allora non avevo ancora la consapevolezza di quello che stava accadendo. È solo alla fine del liceo che decisi di voler fare il chitarrista. Contattai Slep e iniziai a prendere lezioni da lui. È stato Slep a mettermi di fronte alla verità, cioè che il Blues stava alla fonte di tutta questa mia passione».
Dopo aver studiato al Berklee College of Music di Boston decidi di trasferirti a Londra. Che cosa ti ha spinto a venire fin qui? Che cosa significa fare musica oggi a Londra? Che aria tira qui?
«Dopo Berklee ho trascorso sette mesi a New York dove ho suonato con vari artisti americani. Dopo quest’avventura decisi di tornare in Italia con l’illusione di poter lavorare come chitarrista o turnista, ma non avevo ancora abbastanza esperienza. Nonostante l’ambiente poco dinamico, sono rimasto a Torino per tre anni. Durante questo periodo ho incontrato bravissimi jazzisti con cui ho registrato il mio primo album.
Negli ultimi cinque anni il mercato della musica è cambiato molto. Oggi è certamente più complicato vivere facendo il musicista. Qui c’è un ambiente molto positivo, ma non eccellente. Ci sono stati periodi di creatività molto più interessanti di questo e sono sicuro che ce ne saranno ancora altri. Questo periodo è un po’ incerto per motivi economici e socio-politici.
Tuttavia, se proprio devo pensare ad un luogo dove fare musica io non cambierei Londra con nessun altro posto. Questa città è il centro del mondo. Io, come molti altri, sono arrivato qui perché è qui che riesco a liberare una sorta di voce interiore che ha bisogno di venir fuori. Qui hai la consapevolezza che stai vivendo qualcosa di unico, un esperimento umano grandioso e questo è più difficile che accada in altri luoghi: si tratta della stessa ricerca che accomuna il mio desiderio con quello di qualcun altro che magari arriva da un’altra parte del pianeta».
Da Torino a Londra, passando per New York e Boston, un biglietto di sola andata? Hai mai pensato di tornare in Italia?
«Si, sicuramente. Sono molto legato all’Italia. Non so se sarà un biglietto di solo andata o di andata e ritorno. Non me lo chiedo nemmeno. Questa sorta di distanza io non la sento. La sentivo di più quando vivevo a New York perché l’oceano non è solo una distanza, ma una grande massa di altre vite in mezzo».
All’interno della tua biografia leggo che tra i tuoi maestri ci sono il chitarrista Franco “Slep” Sciancalepore, Julien Kasper, Jon Damian e Michael Williams. In quale misura queste grandi personalità della musica hanno influenzato la tua formazione?
«Slep mi ha fornito le basi fondamentali per affrontare una sfida musicale. Ricordo ancora i suoi insegnamenti. Tutto si è sviluppato grazie a lui e per questo gli sarò per sempre grato. Jon Damian è uno dei più grandi creativi che abbia conosciuto. Molti dei chitarristi che poi sono diventati dei grandi nomi, sono stati influenzati da lui. È un genio assoluto nel modo di approcciare lo strumento come luogo compositivo. Michael Williams mi ha trasmesso tutta la sua passione attraverso il suo modo di suonare. Infine, Julian Kasper è il mio guru del momento. È un musicista incredibile, forse il più grande musicista che io abbia mai avuto modo d’incontrare».
Tra le curiosità presenti all’interno della tua biografica leggo che pratichi l’attività subacquea. Che genere di legame sussiste tra l’arte dell’apnea e quella del Blues? Esiste una connessione particolare tra questi due mondi?
«Sono molto vicine. Il Blues è una musica che nasce dall’idea d’improvvisazione e di espressione del momento. È un’esperienza del momento come del resto lo è anche il Jazz. L’apnea ha la stessa base filosofica: restando totalmente consapevole del momento riesco a vivermi quell’esperienza al massimo».

Finora hai collaborato con diversi artisti, tra i quali Julia Biel, Cleveland Watkiss, Lekan Babalola e Kate Luxmoore, Joe Lewis. Con alcuni di loro decidi di creare un Trio(con Blendi Dhami e Chris Nickolls). All’interno di questo progetto musicale unisci il suono Blues-Rock con il jazz. Ti andrebbe di svelarci l’anima del tuo progetto?
«La maggior parte della mia ispirazione viene dall’acqua. Nei miei brani ci sono continui riferimenti all’acqua. Ad esempio il mio primo album si intitolava “Waterflight”. Il mio progetto è il frutto anche della mia esperienza americana e londinese, è una ricerca sonora. All’ interno del mio recente album FAR c’è anche un’aspetto emotivo forte, che viene fuori dall’esperienza personale: una storia finita e un nuovo capitolo della vita che incomincia. All’interno del mio progetto c’è sicuramente questa esperienza di resilienza, di ricerca. L’acqua è intesa come ambiente in cui la resilienza viene a svilupparsi».

Marco, che cos’è per te il Blues?
«Il Blues per me è la capacità di partire da un’espressione diretta ed efficace e svilupparla nella sua complessità. È sicuramente un’azione coraggiosa che ti permette di aggiungere qualsiasi sfumatura. […] È un luogo dove potersi svelare in completezza».
Come artista solista, hai registrato due album: “Waterflight”, pubblicati da DDE-Records nel 2005 e “Far” pubblicato indipendentemente nel 2015. Hai altri progetti futuri da solista?
«Si, sto al momento cercando di sviluppare i nuovi brani per il prossimo disco».
Per maggiori informazioni:
http://www.marcopiccioni.com/wp/