Cosa vedere al Complesso Monumentale della Pilotta?

Nel cuore di Parma si trova un luogo in cui storia, arte e cultura si intrecciano in un racconto di straordinaria bellezza: il Complesso Monumentale della Pilotta.

Foto di L. Greco

Questo insieme di edifici prende il nome dalla pelota, un gioco di origine basca che un tempo animava i suoi cortili. Nato alla fine del Cinquecento per volere dei Farnese come semplice passaggio coperto tra le residenze ducali, nel tempo si ampliò fino a trasformarsi nell’imponente palazzo che oggi possiamo ammirare, composto dal Teatro Farnese, dalla Galleria Nazionale di Parma, dal Museo Archeologico e dalla Biblioteca Palatina. Pronti per questo tour?

1. Il teatro Farnese: tutta la magia del Barocco tra la realtà è la mitologia

Dopo aver percorso il maestoso scalone monumentale, ci dirigiamo verso uno dei teatri più affascinanti della storia dell’uomo: il Teatro Farnese. La maestosa struttura in legno si svela in tutta la sua imponenza, lasciando senza fiato chi vi entra per la prima volta.

Foto di L. Greco

Varcare la sua soglia all’epoca significava immergersi in un mondo di strabiliante bellezza, sospeso tra realtà e la leggenda dei miti. Un tempo, infatti, bastava alzare lo sguardo per trovarsi sotto un soffitto, oggi perduto, che dilatava lo spazio e l’immaginazione con la magia della prospettiva: logge affollate di figure dipinte sembravano animarsi, mentre sopra la platea si apriva un cielo popolato di divinità, con Giove in trionfo a sancire il legame tra arte e potere.

Le decorazioni evocavano una maestosa piazza imperiale, celebrando la grandezza della dinastia Farnese. Le strutture, che oggi sono in legno grezzo, originariamente erano tutte dipinte per imitare il marmo bianco e il porfido rosso, con elementi architettonici, capitelli e cornicioni dorati.

Proprio sul cornicione del teatro si sviluppa un messaggio allegorico che contrappone guerra e pace: da un lato Bellona, dea romana della guerra, raffigurata tra armi e scene di battaglia; dall’altro Cerere, simbolo di prosperità, con un ramo d’ulivo e immagini di caccia e pesca, a celebrare i frutti della pace. Parte di questa decorazione è ancora visibile sulla parete di controfacciata. A rafforzare il significato dell’opera, le statue equestri di Alessandro e Ottavio Farnese, collocate in archi trionfali: Alessandro, eroe militare, era accompagnato dalla Vittoria, mentre Ottavio, emblema di buon governo, era affiancato dalla liberalità e dall’intrepidezza.

Foto di L. Greco

L’architettura del Farnese, ispirata ai grandi modelli del passato (i teatri greci e romani, Vitruvio, Serlio, il Teatro Olimpico di Palladio a Vicenza) era caratterizzata da una disposizione a “U” della platea, accessibile attraverso un imponente portale decorato da colonne e una corona ducale. La cavea, con quattordici gradoni per oltre tremila spettatori, è circondata da una gradinata a ferro di cavallo e da logge ad archi di ispirazione palladiana. Il palcoscenico, profondo 40 metri, era dotato di scenografie mobili e macchine sceniche ideate da Aleotti per stupire il pubblico.

Breve storia della rinascita del Teatro Farnese

Costruito nel 1619 sotto la direzione l’architetto ferrarese Giovan Battista Aleotti, detto “L’Argenta” all’interno della Pilotta per celebrare le nozze tra Odoardo Farnese e Margherita de’ Medici, il Teatro Farnese fu inaugurato nel 1628 con un’opera-torneo intitolata “Mercurio e Marte” di Claudio Achillini, con musiche di Claudio Monteverdi.

Durante il governo dei Borbone, il teatro farnesiano, con la sua imponente struttura barocca, risultava poco adatto alla politica dinastica e intellettuale di ispirazione illuminista, finendo così per essere ampiamente trascurato e poi abbandonato, soprattutto dopo la costruzione del Teatro Ducale nel 1829. Nonostante il degrado, attirò l’attenzione di viaggiatori illustri come Montesquieu e Dickens, che ne descrissero lo stato di abbandono nei loro diari di viaggio. Nel Sette e Ottocento, vari studi e disegni ne documentarono la struttura, tra cui le preziose tavole acquerellate dell’architetto francese L.A. Feneulle, oggi conservate nell’Archivio di Stato di Parma.

I primi interventi di restauro del Teatro Farnese si registrano a metà ‘800, ma solo nel 1909 venne riaperto per un’unica occasione: il cinquantenario dell’annessione di Parma al Regno d’Italia. Tuttavia, ogni progetto di recupero fu presto accantonato a causa della guerra. Nel maggio del 1944, poi, i bombardamenti degli alleati danneggiarono gravemente il complesso della Pilotta, segnando il definitivo declino del teatro.

Arriviamo, quindi, al 1953 quando iniziò il restauro del teatro, sotto la guida di Armando Ottaviano Quintavalle. Dopo la ricostruzione della volta, si lavorò al recupero della struttura, completato nel 1962 grazie all’utilizzo del legno originale. Molte decorazioni andarono perse, ma sorprendentemente riaffiorarono antichi affreschi che si credeva fossero andati perduti. Il restauro puntò a preservare l’autenticità del teatro senza ulteriore aggiunte.

Al termine di questo restauro, il Farnese non era più solamente un luogo di eventi speciali, ma anche un imponente ingresso alle collezioni artistiche della città. Curiosi di scoprire quali sono le opere da non perdere della Galleria Nazionale di Parma?

2. La Galleria Nazionale di Parma: le opere da non perdere

Rimaniamo all’interno del maestoso Palazzo della Pilotta e ci dirigiamo verso le sale della Galleria Nazionale di Parma, dove troviamo una delle più prestigiose collezioni d’arte italiane. Qui, ogni sala racconta una storia, e ogni opera è una finestra aperta su secoli di creatività e maestria. Le sue origini risalgono nel 1753, quando il duca Filippo di Borbone fondò la Ducale Accademia di Belle Arti, dando vita a una quadreria arricchita da dipinti vincitori di concorsi e reperti archeologici di Veleia. Fu però con Maria Luigia d’Austria, nei primi dell’Ottocento, che la raccolta divenne un vero museo pubblico, trovando la sua sede definitiva nei suggestivi spazi dell’Accademia.

Foto di L. Greco

Al suo interno ogni opera è un vero e proprio invito a immergersi nelle trame intricate della storia. Un bellissimo viaggio che ha inizio con le sculture medievali di Benedetto Antelami e prosegue tra le eleganti opere rinascimentali di Beato Angelico, Cima da Conegliano e Leonardo da Vinci. Il Manierismo trionfa nei capolavori di Correggio e Parmigianino, maestri indiscussi della scuola parmense del Cinquecento. Il percorso barocco e settecentesco si accende con le pennellate vibranti di Guercino, dei Carracci, di Tiepolo, Piazzetta e Canaletto, per poi concludersi nelle sale ottocentesche, dove prendono vita i ritratti della corte Borbonica e di Maria Luigia d’Austria.

Le opere descritte di seguito rappresentano una piccola, ma significativa selezione dell’ampia collezione custodita nel museo. Questo percorso vi offrirà un assaggio del suo straordinario patrimonio culturale, permettendovi di scoprirne la storia, gli aneddoti e il loro significato artistico e simbolico.

La Schiava Turca del Parmigianino

La prima opera della Galleria Nazionale di Parma di cui voglio parlare è un dipinto ad olio di straordinaria grazia, capace di incantare ancora oggi con il suo misterioso fascino: “La Schiava Turca” (1532) del Parmigianino.

Il titolo dell’opera deriva da un equivoco, da un’interpretazione errata del copricapo della donna ritratta, scambiato per un turbante. In realtà, si trattava di un’acconciatura tipica delle nobildonne del Cinquecento a forma di ciambella. Si tratta della cosiddetta “capigliara”, costituita da una rete di fili d’oro, decorata al centro da un medaglione con un Pegaso bianco (forse un riferimento simbolico alla famiglia d’appartenenza).

La donna è raffigurata con lunghi capelli bruni e intensi occhi verdi, che catturano immediatamente l’attenzione. Il suo sguardo, fisso sull’osservatore, è enigmatico, accentuato da un sorriso ambiguo. L’armoniosa composizione di linee curve incornicia la sua figura, conferendole un’aura di eleganza e mistero.

I dettagli del ritratto sono straordinari e raccontano molto della vita e del ruolo della donna. Il suo abbigliamento riflette eleganza e raffinatezza: indossa una sontuosa veste da sera blu, arricchita da maniche a sbuffo, mentre un leggero velo dalle sfumature oro e arancio le avvolge le spalle, donando alla sua figura un’aura di calore e solennità. Sul grembo poggia con grazia uno zinale, un grembiule finemente ricamato, simbolo di cura e tradizione. La mano, caratterizzata da dita affusolate – un dettaglio tipico dello stile del Parmigianino – porta un delicato anello dorato, forse un indizio del suo recente matrimonio. Con la stessa grazia, stringe un ventaglio di piume finemente lavorato, un ulteriore elemento che aggiunge fascino e mistero alla sua figura.

Ma chi è la misteriosa donna ritratta da Parmigianino?

L’identità della protagonista del dipinto rimane avvolta nel mistero, ma tra le ipotesi più accreditate spiccano due nomi illustri. Alcuni studiosi suggeriscono che possa trattarsi di Giulia Gonzaga, nobile mantovana celebre per la sua bellezza, ritratta forse all’epoca del suo matrimonio con Vespasiano Colonna. Altri, invece, vedono in lei la poetessa Veronica Gambara, donna di grande cultura e influente figura del Rinascimento, che il Parmigianino ebbe modo di conoscere personalmente. Quale che sia la verità, il dipinto continua a incantare con il suo alone di enigma e raffinatezza.

La Scapigliata di Leonardo Da Vinci

Lungo il corridoio della Galleria Nazionale di Parma, tra le molte opere esposte, il ritratto enigmatico di una giovane donna incanta chiunque lo osservi. Il suo volto, sorprendentemente “moderno”, sembra sospeso tra sogno e realtà.

Mentre i suoi capelli, scompigliati dal vento, si librano nell’aria come fili di un pensiero inafferrabile, i dolci lineamenti del suo volto affiorano con grazia, scolpiti dal sapiente gioco del chiaroscuro. Le palpebre socchiuse velano lo sguardo, il naso leggermente pronunciato dona carattere e le labbra accennano a un lieve sorriso.

Questa figura eterea è La Scapigliata (1508) di Leonardo da Vinci, un capolavoro di piccole dimensioni (24,7 × 21 cm) che porta con sé un’eco di domande irrisolte: non sappiamo con esattezza chi sia il soggetto rappresentato e per chi sia stata realizzata l’opera. Una storia, dunque, in gran parte tutta da scoprire.

Nessun documento dell’epoca ne parla esplicitamente, ad eccezione dell’inventario di Ferdinando Gonzaga, in cui compare per la prima volta solo nel 1627 la descrizione di

“un quadro dipintovi la testa di una donna scapigliata, bozzata, […] opera di Leonardo da Vinci”.

C’è chi la interpreta come una Madonna, mentre altri la collegano a uno studio per “Leda col cigno”. L’assenza di certezze ha lasciato spazio a ipotesi e congetture, trasformando l’opera in un enigma ancora irrisolto. Questo alone di mistero non fa che accrescere il suo fascino, spingendo studiosi e appassionati a interrogarsi sulla sua vera natura e sulle più intime intenzioni di Leonardo.

Ritratto di Maria Luigia d’Asburgo in veste di Concordia (1811-14) di Antonio Canova

Proseguendo il nostro tour, arriviamo all’ultima sala della Galleria, dove ci attende un capolavoro imperdibile: la straordinaria scultura in marmo Maria Luigia d’Asburgo in veste di Concordia (137,3 x 96,5 x 98,4 cm). Realizzata nel 1810 da Antonio Canova su commissione di Napoleone, l’opera celebra l’eleganza e la solennità della consorte dell’imperatore, incarnando i valori di armonia ed equilibrio propri della Concordia.

Ma perché Maria Luigia è ritratta nei panni di questa divinità? La risposta va cercata nel contesto storico dell’epoca: la sua unione con Napoleone, imposta dalla ragion di Stato, aveva lo scopo di sancire la pace tra Austria e Francia.

Anche in questo caso, i dettagli della scultura giocano un ruolo cruciale nel conferire forza e carattere alla rappresentazione. L’elemento che colpisce immediatamente è il netto contrasto tra il volto di Maria Luigia e il resto della composizione: da un lato, l’austera nobiltà della tradizione classica; dall’altro, un’espressività più intima e moderna che emerge dai suoi lineamenti. Non si tratta di una contrapposizione casuale, ma di una raffinata sintesi voluta dall’artista, in cui Canova fonde due mondi e due identità, trovando un equilibrio tra idealizzazione e realismo.

Foto di L. Greco

La sovrana è raffigurata in una posa solenne, seduta sul trono con il diadema regale, lo scettro e una patera – un piatto rituale utilizzato nelle cerimonie religiose – simboli che ne sottolineano lo status e il ruolo. La scelta compositiva non si limita a esaltare la sua regalità, ma la carica di un significato più profondo: la figura di Maria Luigia diventa un “ponte” tra passato e presente, il punto d’incontro tra maestosità e immediatezza.

3. La Biblioteca Palatina

Foto di L. Greco

Uscendo dalla Galleria Nazionale, il nostro percorso ci conduce verso un luogo di straordinario valore culturale: la Biblioteca Palatina. Fondata nel 1761 per volontà dei duchi Filippo e Ferdinando di Borbone, fu ufficialmente inaugurata nel 1769 alla presenza dell’imperatore d’Austria Giuseppe II.

Sotto il governo illuminato di Maria Luigia, la biblioteca conobbe una significativa espansione. La duchessa arricchì il patrimonio librario e nel 1834 commissionò all’architetto Nicola Bettoli la costruzione di una nuova ala nel settore sud del palazzo: il Salone Maria Luigia, oggi adibito a sala di lettura. Con l’Unità d’Italia, la Biblioteca Palatina divenne una biblioteca pubblica statale, mantenendo ancora oggi il suo ruolo di custode della memoria e del sapere.

La Biblioteca Palatina custodisce un patrimonio straordinario di oltre 700.000 documenti, tra libri, manoscritti e stampe. Particolarmente preziosa è la sua collezione di manoscritti ebraici, tra le più vaste al mondo, con circa 1.600 esemplari risalenti dal Medioevo all’Ottocento.

Di grande rilievo anche la sezione musicale, con oltre 160.000 unità, tra cui il carteggio tra Giuseppe Verdi e Giulio Ricordi. Tra i tesori della biblioteca figurano la Bibbia Atlantica, il Tetravangelo greco dell’XI secolo e una rara Bibbia ebraica miniata, la più antica versione della Sacra Scrittura conosciuta in Italia.

Dal 2008, l’Associazione Amici della Palatina si impegna nella valorizzazione di questo importante centro culturale, promuovendo eventi ed iniziative per il pubblico.

4. Museo archeologico

Il nostro viaggio attraverso il Complesso della Pilotta giunge al termine in un luogo che custodisce le tracce più antiche della storia umana: il Museo Archeologico Nazionale di Parma. Qui, tra reperti millenari e testimonianze di civiltà lontane, possiamo fare un vero e proprio salto nel tempo, ripercorrendo le origini del territorio e delle culture che lo hanno abitato.

Fondato nel 1760 per accogliere i preziosi ritrovamenti della città romana di Veleia, il museo ha ampliato nel tempo le sue collezioni con reperti Egizi, Etruschi e Romani, diventando un punto di riferimento per l’archeologia. Le campagne di scavo condotte tra Ottocento e Novecento hanno restituito oggetti e manufatti che raccontano la vita quotidiana, i riti e le tradizioni delle popolazioni che, dal Paleolitico all’Alto Medioevo, hanno lasciato la loro impronta su queste terre.

Il percorso espositivo, articolato su due piani, non solo offre una panoramica sulle culture dell’Italia preistorica, preromana e romana, ma svela anche la storia della formazione del museo stesso. Un’esperienza coinvolgente, dove ogni reperto diventa una finestra aperta su epoche lontane. Il modo perfetto per concludere il nostro viaggio, lasciandoci con la consapevolezza di quanto il passato continui a dialogare con il presente.

Un pensiero su “Cosa vedere al Complesso Monumentale della Pilotta?

  1. Il museo della Pilotta e come un piccolo museo del Louvre ci assomiglia e bellissimo come tutta la città di Parma forse il meglio complesso museale dell’Emilia Romagna e subito dopo il museo palazzo Farnese a Piacenza altrettanto bellissimo che completa il potere dei Farnese in Emilia e non per ultimo da non sottovalutare la gente il suo cibo vale la pena di andarci

    da non dimenticare il museo Bodoniano …

    andateci non rimarrete delusi

    Piace a 1 persona

Lascia un commento