«Keith Haring. About Art»: alla ricerca del linguaggio universale

A Milano, fino al 18 giugno, il principale esponente del graffitismo newyorkese degli anni Ottanta sarà protagonista di una mostra allestita a Palazzo Reale. Curata da Gianni Mercurio, l’esposizione, «Keith Haring. About Art», comprende 110 opere, alcune delle quali inedite o mai esposte in Italia, provenienti da diverse collezioni pubbliche e private (la Tony Shafrazi Gallery di New York, la Sammlung Hoffmann di Berlino e la Keith Haring Foundation). La mostra è promossa e prodotta dal Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale, Giunti Arte mostre musei e 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, con la collaborazione scientifica di MADEINART.

Luca Greco

L’obiettivo della mostra è quello di ripensare l’estetica di Haring alla luce della storia dell’arte che egli ha integrato in modo significativo all’interno delle sue opere. Solamente se ci confrontiamo con questo passato siamo in grado di capire fino in fondo il suo tentativo di ricomporre i linguaggi dell’arte all’interno di un unico linguaggio, personale e universale nello stesso tempo. Durante tutto l’itinerario espositivo, infatti, troveremo accanto ai lavori dell’artista americano molte opere di autori appartenenti ad epoche diverse come ad esempio i modelli della tradizione classica, i calchi della Colonna Traiana, le maschere tribali delle culture del Pacifico, le creazioni dei nativi americani, alcuni dipinti del Rinascimento italiano e le opere di maestri come Jackson Pollock, Jean Dubuffet e Paul Klee. Si tratta di una meravigliosa sintesi narrativa che racconta il suo impegno di artista-attivista all’interno della società americana degli anni Ottanta.

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Keith Haring – Autoritratto

Haring e l’anticonformismo

Haring è l’interprete di un sentire collettivo e le sue creazioni diventano espressione di una controcultura che riflette sui temi sociali e politici propri della nostra epoca, come il razzismo, la discriminazione delle minoranze, la minaccia nucleare, la droga e l’Aids. Il senso anticonformista della sua arte si evince non solo dai temi trattati ma anche anche dal fatto che la maggior parte delle opere presenti in mostra sono prive di titoli. Haring attribuisce allo spettatore un ruolo fondamentale concedendogli la totale libertà d’interpretare le sue opere: «A me interessa fare dell’arte che venga sperimentata dal più ampio numero possibile di individui, con altrettante idee individuali su un certo lavoro privo di un significato definitivo. Lo spettatore crea la realtà, il significato, il concetto alla base del pezzo. Io sono solo un intermediario che tenta di raccogliere le idee» (Keith Haring).

Haring prende nettamente le distanze dall’arte ufficiale preferendo gli spazi pubblici all’ambiente delle gallerie. È questo il caso dei cosiddetti «subway drawings» (presenti in mostra all’interno della sezione Performance) realizzati su dei pannelli pubblicitari vuoti nelle stazioni della metropolitana di New York con fogli di carta nera. Egli apporta un significativo rinnovamento anche nel mondo del graffitismo conferendogli maggiore forza comunicativa. Durante questo periodo Haring porta l’arte nelle strade, tra la gente e lavora esclusivamente col gesso bianco: «Per me, disegnare con il gesso su quella morbida carta nera fu un’esperienza completamente nuova. Era una linea continua, non dovevi interromperti per intingere nel colore il pennello o qualsiasi altro strumento stessi usando. Era una linea costante, una linea davvero molto forte graficamente, ed eri soggetto a un limite temporale. Bisognava lavorare il più in fretta possibile. E non si potevano fare correzioni. Per così dire, non c’era margine d’errore» (Keith Haring). La metropolitana newyorkese diventa un vero e proprio laboratorio per l’artista americano. Durante queste creazioni, infatti, Haring incomincia a sperimentare le sue innovazioni: attraverso una linea, che si riduce all’essenzialità della forma, delimita i confini delle superfici e realizza soggetti che non firma mai, motivi semplici e immediati come l’UFO, il cane con il muso squadrato e altre figure tratteggiate (questi disegni sono disposti in successione come nelle strisce dei fumetti, mentre in altri casi la narrazione di una storia viene distribuita in più stazioni della metropolitana) .

L’Umanesimo

La retrospettiva milanese fin dall’inizio si concentra sullo spirito umanistico della filosofia di Haring. La sua arte, aspirando ad un linguaggio universale utile all’accrescimento interiore e collettivo degli esseri umani, pone al centro del mondo l’individuo. È da tale visione antropocentrica che nasce la rappresentazione dell’uomo con le braccia alzate legata alla tradizione medievale e sublimata successivamente nel Rinascimento da Leonardo con l’Uomo Vitruviano. In tutte le sue rappresentazioni umane, Haring realizza l’Omino, un pittogramma antropomorfo senza volto che nella sua anonimità rappresenta tanto il singolo quanto l’umanità. All’interno di questa sezione degna di nota è la presenza dell’opera «Untitled 1981» (realizzata su un telone vinilico per camion). L’idea di creare un foro nella pancia dell’omino nasce subito dopo la notizia dell’assassinio di John Lennon.

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Untitled 1981

Le innovazioni apportate da Haring  al graffitismo hanno origine proprio dalle tags. Al loro posto Haring propone il linguaggio dei segni che gli era proprio: come firma personale l’artista in un primo momento scelse un cane dal muso squadrato che abbaia; successivamente, realizzò lo schizzo di un piccolo bambino che gattona, il cosiddetto «bambino radiante» («Untitled 1984»), presente all’interno di questa sezione. Haring amava molto i bambini. Il bambino rappresenta l’innocenza, la capacità di comprendere e l’apertura al mondo. A tal proposito, egli dice: «quel che mi è sempre piaciuto dei bambini è la loro immaginazione, una combinazione di onestà e libertà che permette loro di esprimere qualsiasi cosa gli passi per la mente. I bambini sono in grado di capire l’energia e il Karma che proviene da un’altra persona».

Il mito

Haring si confronta ora con il racconto mitico e lo trasporta nella contemporaneità. Accanto alle opere dell’artista americano sono collocate alcune importanti opere con riferimenti alla mitologia come la «Lupa Capitolina» e il «Calco con gesso – Combattimenti di Centauri e Lapiti» di Michelangelo Buonarroti.

Michelangelo (calco con gesso)
Combattimenti di Centauri e Lapiti – Michelangelo Buonarroti

All’interno di questa sezione ricordiamo la presenza della rappresentazione di Medusa («Untitled 1985»): in cima ai suoi tentacoli non troviamo però la testa di un serpente, ma quella di un televisore con una croce (simbolo di morte). Il messaggio lanciato agli spettatori è forte e chiaro: chi resta troppo legato agli eventi tecnologici pietrifica la propria umanità.

Tra le figure mitiche rappresentate da Haring vi è anche l’Arpia, la mostruosa creatura con viso di donna e corpo d’uccello rapace che porta via le giovani vite. Haring dipinge «Walking in the rain» (1989) proprio il giorno in cui gli viene diagnosticata l’Aids. Poco prima di morire, con queste parole l’artista si rivolge al proprio biografo, John Gruen: «Non dobbiamo dubitare, perché altrimenti ci arrendiamo e la resa significa stallo. Convivere con una malattia mortale apre una prospettiva della vita completamente nuova. Non voglio dire che la minaccia della morte mi ha insegnato ad apprezzare la vita, perché l’ho sempre amata. Sono sempre stato dell’idea che ognuno debba godere pienamente della propria vita e preoccuparsi del futuro quando arriva» (Keith Haring).

K.H.
Walking in the rain (1989)

Tra le varie figure mitiche presenti in mostra non potevano certamente mancare anche i riferimenti alla Lupa di Roma («Untitled 1982») e al Vitello d’oro («Untitled 1980»), rappresentato precedentemente da Chagall. Accanto al fregio «Untitled 1984» troviamo, invece, il calco della Colonna Traiana. Inaugurato a Roma nel 113 per celebrare la conquista della Dacia da parte dell’imperatore Traiano, questo monumento rappresenta un’assoluta novità per l’arte antica: per certi aspetti può essere considerato il primo esempio di storytelling della storia dell’arte poiché vengono raccontati non solo episodi bellici, ma anche scene di vita quotidiana (presenza di scene relative all’accampamento). Rispetto al calco della colonna, la narrazione di Haring è maggiormente rapida ed emotiva.

Proseguendo, incontriamo un’altra importante figura rappresentata da Haring, quella di San Sebastiano («Saint Sebastian», 1984), martire cristiano assassinato nell’anno 288 per ordine dell’imperatore Diocleziano. Storicamente è considerato come il santo protettore contro la peste che per tutto il medioevo aveva terrorizzato l’Europa. All’interno di quest’opera, Haring sembra voler denunciare l’orrore dell’AIDS che stava decimando i suoi colleghi e ci spinge a riflettere sul potere salvifico dell’arte.

Al termine di questa sezione, incontriamo infine il celebre Albero della vita di Haring («Untitled 1985»), un archetipo legato al mondo della mitologia celtica, che rappresenta l’universo. Haring dipinge quest’opera straordinaria in occasione della morte di una sua giovane amica durante un incidente stradale. Si tratta di un’immagine che sprigiona dinamismo positivo e gioiosa vitalità. In questo caso l’intento dell’artista è quello di andare al di là della morte per celebrare l’amicizia e la gioventù.

L’immaginaio fantastico di Haring

Il lato maggiormente enigmatico di Haring è contenuto in alcune opere presenti all’interno della sezione dedicata al suo immaginario fantastico, un mondo di mostri e di angosce che egli stesso ha vissuto e sperimentato. Qui Haring si libera di tutte le suggestioni culturali e visive che ha assimilato nel corso della sua vita e le racconta con la totale libertà. Espliciti sono i richiami al tema del mostruoso presente nei bestiari medievali: con una vena pop-surrealista l’artista americano anima, infatti, i soggetti di Bosch (pittore visionario del ‘400-‘500) dipingendo figure informi e mostruose, demoni, scheletri e serpenti. Nel dipinto «Untitled 1986» il tema dell’autoaffermazione sessuale acquista una connotazione forte, feroce e paurosa: coercizione sessuale e castrazione sono le principali modalità tramite le quali la libertà dell’individuo viene crudelmente ostacolata. Si tratta di una vera e propria rappresentazione del purgatorio del desiderio sessuale: al suo interno troviamo, infatti, ammassate creature mostruose alla perenne ricerca dell’appagamento dei sensi che divorano esseri umani.

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Untitled 1986

Etnografismo

La sala 6 della mostra è dedicata al profondissimo legame che sussiste tra Haring e l’arte primitiva. In questa sezione possiamo vedere come Haring riesca ad amalgamare motivi etnici (simboli) con elementi formali appartenenti ad artisti come Picasso, Matisse, Léger e altri che hanno esercitato su di lui una grande influenza. L’etnografismo di Haring diventa espressione di valori formali e “totemici”, ma rappresenta anche una presa di coscienza politica e sociale nei confronti dell’arte appartenente alle minoranze culturali, come l’arte precolobiana (figura dello sciamano, il dio serpente e le maschere terrifiche) e la danza contemporanea legata ai rituali afroamericani. La musica e la danza rappresentano uno stimolo creativo fondamentale per l’artista americano. La sua arte inizia nelle strade e negli storici nightclub newyorkesi. Le serate trascorse in compagnia di Madonna (sua amica) al Paradise Garage o al Fun House rappresentano un irrinunciabile rituale che si ripete ogni fine settimana. A testimoniare questa sua passione sono presenti in mostra alcune coreografie di danza, tra le quali spicca certamente quella che vede un uomo infilato nella pancia di un altro che danza.

Moderno Postmoderno

Haring dialoga non solo con antichi miti, ma anche con i grandi maestri a lui contemporanei, come Pollok (il primo), Jean Debuffet, Paul Klee (per le forme) e soprattutto con Andy Wahrol. Haring e Wahrol si incontrano per la prima volta nel 1983 alla Fun Gallery di New York. Tra i due artisti fin da subito nasce una grande amicizia che li conduce ad avere un intenso e fecondo scambio di idee e conoscenze: Haring, in qualità di artista emergente, trae beneficio dall’esperienza e dalle amicizie di Wahrol, che a sua volta lo mette in relazione con i giovani protagonisti della scena alternativa contemporanea. Nelle opere di Haring molti sono i riferimenti alla figura di Wahrol: per celebrare la grandezza del maestro egli crea il personaggio di «Andy Mouse», un ritratto di Topolino con i tratti del maestro (non mancano occhiali da sole e parrucca). In mostra è presente la rappresentazione «Untitled 1985», che ha come tema questo soggetto moltiplicato più volte su uno sfondo verde, con l’aggiunta del simbolo del dollaro sulle orecchie, simbolo dell’ostentata commercializzazione dell’arte. L’accostamento del personaggio simbolo della Walt Disney con l’immagine di Wahrol esprime la volontà di Haring di attribuire a quest’ultimo lo status di icona.

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Andy Wahrol e Keith Haring

Cartonism

Haring è figlio del proprio tempo. Come ogni adolescente americano di quel periodo cresce con i fumetti e con i cartoni animati (sono soprattutto i personaggi di Walt Disney e del dottor Seuss a suscitare il suo entusiasmo). John  Gruen racconta che il ricordo più remoto di Haring, legato alla pittura, è riconducibile all’immagine di sé che disegna i fumetti dei suoi eroi preferiti insieme al padre. Lo spirito comunicativo dei cartoons permea tutti i lavori di Haring proprio perché rende più facilmente leggibile la narrazione attraverso il vocabolario dell’immediata e concreta comunicazione visiva. Quest’interesse di Haring per i cartoons altro non è che l’espressione di una decisa contrapposizione alla pittura astratta, dove lo schema narrativo è quasi mancante.

Tra arte e vita

Costantemente alla ricerca di un linguaggio universale, Haring vive la sua breve vita d’artista lavorando e sperimentando senza sosta. La sua arte parla d’amore e di felicità, di gioia e di sesso, ma anche di violenza, d’abuso e d’oppressione. Haring è un sognatore che non ha mai smesso di credere che l’arte fosse capace di trasformare il mondo: la sua pittura è la storia della nostra epoca, i suoi simboli sono i nostri simboli, i suoi sogni sono i nostri sogni. La bellezza di questa mostra sta tutta nell’ampiezza e compiutezza di visione che offre allo spettatore: rende giustizia al suo immenso talento, oltre l’iconografia che lo ha reso celebre.

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